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di www.pecob.eu
La Serbia si sta rivelando una delle mete favorite da aziende italiane che decidono di delocalizzare le proprie attività produttive all'estero. Negli utlimi dieci anni gli investimenti italiani nel paese balcanico sono aumentati rapidamente. Attualmente l'Italia è al secondo posto per numero e consistenza di progetti avviati in diversi comparti produttivi.
L’apertura economica di Belgrado al resto del mondo, ed in particolare ai paesi europei (ma non solo, anche verso stati asiatici come la Corea del Sud ed altri ancora), ha subito una accellerazione negli ultimi cinque anni. Ciò è avvenuto attraverso una legislazione sostanziale (che ha sviluppato ulteriormente quella formale) che non prevede molti dei vincoli all’utilizzo della forza lavoro ed al rispetto ambientale previsti dall’Unione Europea e dall’Italia. Per di più la Serbia ha puntato su di una aggressiva campagna di contributi pubblici ed agevolazioni fiscali alle imprese che investono sul suo territorio.
Ad esempio, una tassazione sugli utili al dieci per cento o sovvenzioni a fondo perduto di diverse migliaia di euro per ogni lavoratori assunto sopra una certa quota numerica, per non parlare dell’esenzione dalla tassazione dei profitti per la durata di dieci anni a chi investe più di dieci milioni di euro in uno stabilimento che occupa almeno cento nuovi assunti. È in questi casi evidente come ad essere incentivate maggiormente siano le grandi imprese, capaci di creare volumi occupazionali più consistenti. Una circostanza che in Italia si trduce in numeri maggiori di esuberi nelle imprese interessate dall’operazione di delocalizzazione.
Un altro esempio in merito si trova nella crazione delle cosiddette “zone franche”, aree nelle quali i controlli e le norme giuslavoristiche, ambientali e organizzative sono applicati in maniera ancora più blanda e flessibile.