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Dalle “Camere di Commercio” alle “Camere dello Sviluppo Sostenibile”

APPUNTI PER LA “RIFORMA” DEL SISTEMA DELLE CAMERE DI COMMERCIO

di Luca Valli
Direttore CISE, Centro per l'Innovazione e lo Sviluppo Economico



Premessa
Questo appunto non si configura come argomentazione difensiva di ciò che il Sistema delle Camere di Commercio oggi rappresenta e neppure intende abbozzare un affresco chiarificatore di quanto il Sistema sia indispensabile al funzionamento dell'economia (molti si sono già autorevolmente cimentati in questo), ma si propone di mettere a fuoco un tema progettuale che potrebbe prospettarsi  come opportunità da cogliere per dare vita ad una “buona” riforma.
In tal senso, la presente riflessione si concentra sul ruolo – in parte già effettivo, in altra parte allo stato di promettente potenzialità – del Sistema delle Camere di Commercio nella tanto difficile quanto ineludibile sfida correlata ai problemi attuali pertinenti lo “sviluppo”.

Analisi
L'inadeguatezza della governance, più ancora che la scarsa efficienza, appare la principale causa della messa in discussione del Sistema camerale. Posizione che non si riferisce tanto al dato (peraltro reale) che in tempo di crisi gran parte delle Associazioni di categoria pensano (a torto) di poter trarre qualche vantaggio dalla soppressione dell'attuale Sistema delle Camere di Commercio, quanto al dato che, in un mondo profondamente mutato e in fase di globalizzazione, il tema dello sviluppo non può più essere affrontato nell'ambito di assise (come lo sono gli attuali Consigli camerali) nelle quali la stragrande maggioranza dei soggetti rappresentati è costituita proprio da membri di quel sistema estremamente frammentato di associazioni datoriali afflitte da un endemico conflitto di interessi nei confronti delle Camere di Commercio; non solo, si tratta di associazioni ancor oggi connotate e divise da antistoriche affiliazioni politiche, ma soprattutto fondamentalmente inabili a rappresentare in modo equilibrato l’insieme delle istanze connesse allo sviluppo che un complesso territoriale è potenzialmente in grado di esprimere.
Ciò deriva dal fatto che un Consiglio composto di una trentina di soggetti (dei quali circa il 90% provenienti da Associazioni datoriali, con l’aggiunta di un seggio per le organizzazioni sindacali dei lavoratori, di un altro seggio per le associazioni di tutela degli interessi dei consumatori e di un altro ancora per le professioni), insieme di soggetti, si diceva, il cui compito è quello di rappresentare i plurali interessi connessi alle ricadute che le attività imprenditoriali generano sul territorio - toccando ambiti occupazionali, sociali, ambientali, culturali e, in senso lato, la qualità della vita. Ebbene, un Consiglio siffatto non può che privilegiare gli interessi della parte datoriale. Stato di cose che se a un primo sguardo può apparire del tutto legittimo, visto che gli enti camerali funzionano da tempo esclusivamente attraverso risorse provenienti dalle imprese, a uno sguardo più lungo e più attento, può rivelarsi condizione di miopia che si traduce in un concreto ostacolo allo stare al passo con i tempi. Viviamo un'epoca costitutivamente caratterizzata da una complessità radicale. In questo senso, la nozione di contesto con la sua ricchezza semantica, sta assumendo un ineludibile valore conoscitivo per la sua capacità di descrivere i legami che di fatto intercorrono tra una pluralità di attori compresenti e portatori di molteplici richieste e di molteplici proposte non sempre consonanti tra loro, eppure assolutamente indispensabili nella loro peculiarità, perché proprio alla loro multiforme presenza si deve la possibilità di dare senso a concetti costitutivi della realtà come quelli di vita, di società, di cultura, di tradizione, di memoria, di natura ecc. Pluralità di elementi impossibili da comprimere in schematismi, che destituisce qualsiasi intenzione riduzionista orientata alle semplificazioni in base alle quali chi pretende di relazionarsi alla realtà percorrendo scorciatoie rischia fortemente di trovarsi escluso. In sostanza, si sta inaugurando una stagione caratterizzata da un’accelerazione temporale che lascia poco spazio alle posizioni preconcette e unidirezionate, stagione che esige l’individuazione di nuove strumentazioni metodologiche abilitate a muovere in realtà non più segregabili entro angusti e invalicabili ambiti, siano essi natura disciplinare, tecnica, lavorativa ecc. Ciò che avanza, infatti, è l’esigenza di ricercare e di ricreare connessioni tra domini  eterogenei, talvolta apparentemente distanti, che esigono la messa in campo di strategie transdisciplinari, giusto per la necessità di ricercare interazioni tra ambiti disciplinari diversi, quali l'economia, le scienze dell’informazione, la sociologia, l’etica, l'antropologia, l'ingegneria, l'epistemologia, le scienze cognitive, la storia, le scienze della vita, le scienze della natura e dell’ambiente, l'arte, la cultura, le attività formative, le attività produttive ecc. La svolta storica in atto è tale da toccare le corde profonde che presiedono alla costruzione delle civiltà: non si può non notare come lavori in corso talvolta palesi, talvolta sotterranei stiano delineando da pochi decenni nuove condizioni contestuali connesse all’elaborazione del sapere, quindi alla produzione di quei requisiti antropologici che si pongono vincolanti per qualsiasi attività umana. Il filosofo francese Pierre Lévy ha bene individuato le nuove esigenze connesse alla costruzione di un sapere in grado di corrispondere a bisogni emergenti e assolutamente inconsueti che si vanno profilando con rapidità incalzante. Egli parla di un sapere costruito secondo “una nuova dimensione antropologica” nel cui ambito la conoscenza non si limita alla sua rappresentazione scientifica ma è “coesistiva alla vita” e nasce dalla “superficie di composizione, ricomposizione, comunicazione, singolarizzazione e rilancio processuale dei pensieri”. In breve, il nuovo si sintonizza, si fa spazio e trova spazio nel dialogo tra insiemi di competenze non più isolate, bensì da mettere in dialogo al fine di alimentare progettualità rivolte alla costruzione e al costante aggiornamento di inediti modelli orientativi e stimolativi di innovazione e di sviluppo, fecondatori indispensabili del Sistema Paese. Dimensione del tutto consonante con l’insorgere di un locale e di un globale che diventa ogni giorno più necessario sapere intrecciare, laddove l’economico non ha più possibilità di procedere isolatamente nella costruzione del sociale, ma deve sapersi coniugare con inusitate dimensioni del vivere e da queste trarre alimento per rimodularsi. In altri termini, diventa ineludibile un gesto di conoscenza volto a impadronirsi del cambiamento di cifra necessario per dare vita a un buon prodotto (o un buon servizio), oggi; nella consapevolezza che esso è fatto sì di tecnologia, di materiali, di caratteristiche funzionali, ecc., ma di una tecnologia, di materiali, di caratteristiche funzionali che si sostanziano di storia, di cultura, di estetica, di sostenibilità ambientale, di responsabilità e di accettabilità sociale, di conformità alle aspettative che la società nutre verso le proposte che le vengono fatte. Per competere, diventa sempre più fruttuoso apprendere ad essere strateghi nell’interpellare congiuntamente coloro che sono portatori di competenze diverse; per esempio, nell’organizzare équipes cui possono partecipare all’occorrenza più saperi in un rapporto di concorrenza cooperativa individuando coloro che fanno al caso tra scienziati, ingegneri, insegnanti, giuristi, biologi, poeti, filosofi, venditori, economisti, psicologi, comunicatori e così via. Ciascun componente assume un ruolo importante e determinante, a patto che sappia relazionarsi in termini sistemici con gli altri, esprimendosi anche secondo modalità non sempre palesi.
In un sistema complesso, ogni voce, ogni competenza, ogni attore, si comporta, in un tempo, in termini propositivi e ostativi: compito di ciascuno infatti è quello di segnalare, nel work in progress, i vincoli e le opportunità dettati della realtà che esso rappresenta, inducendo nell’équipe la necessità di ricercare possibilità inedite, camminamenti nuovi che esprimono soluzioni progettuali più aderenti alle attese del mondo. In pratica, questo concorrere di più punti di vista ad un medesimo progetto viene a configurarsi come situazione garante di una visione realistica che lavora per evitare ingannevoli scenari astratti, gli stessi che sovente dirottano chi pretende di progettare nella solitudine connessa ad un unico punto di vista, ad un’isolata visione delle cose. Il sempre più invocato ingresso del pensiero etico come componente di un agire che deve farsi garante di percorsi di sviluppo democraticamente orientati, quelli di cui si parla anche nella nostra Europa, indica che le decisioni connesse allo sviluppo non possono essere impermeabili alle esigenze di equità, volte a ricercare condizioni di equilibrio, quindi non più soltanto vantaggiose per alcuni a discapito di altri. Ciò che appare sempre più all’ordine del giorno è l’introduzione di un paradigma equitativo in grado di avviare un’azione compositiva degli interessi collettivi, incluse le parti sociali, i cittadini, le istituzioni, il sistema del credito, le comunità locali in senso lato. Ma la complessità non costituisce automaticamente un'opportunità di sviluppo se non saputa amministrare. In tal senso, occorrono regole e luoghi nell'ambito dei quali l’attività che fa capo al governare possa realisticamente assumere una forma effettiva, in grado cioè di funzionare producendo risultati positivi verificabili.
Non ha rilevanza alcuna se questi luoghi continueranno a chiamarsi Camere di Commercio o in altro modo (sarebbe suggestivo e pertinente se si decidesse di chiamarle “Camere dello sviluppo responsabile” o “sostenibile” – d’ora in poi nel testo che segue: “sviluppo sostenibile” ), ma è vitale che i luoghi suddetti esistano, siano attenti a dotarsi di regole semplici e nello stesso tempo condivise operanti come sistema, ovvero in modo coordinato, dinamico, flessibile e capace di autorimodularsi in presenza di nuove occorrenze.

Proposta
La presente riflessione si prefigge di esaminare lo stato di cose che attualmente caratterizza le Camere di Commercio e nel contempo di riconsiderarne alcuni meccanismi al fine di individuare eventuali criticità correlate al ruolo di strutture che forse varrebbe la pena di riattualizzare alla luce delle nuove esigenze cognitive e organizzazionali che stanno irrompendo. In tal senso, pare particolarmente opportuna una riflessione sui sistemi di rappresentanza specifici delle attuali Camere di Commercio (che, pur con le osservazioni formulate poco sopra, si configurano pur sempre come sistema partecipativo), riflessione che ambisce a individuare/suggerire condizioni in grado di conferire piena e attiva partecipazione alle parti relativamente alla vita e all’attività decisionale delle “Camere dello sviluppo sostenibile”. In un mondo sempre più interconnesso, caratterizzato da una costitiutiva complessità informazionale e sempre più orientato a trovare ragioni nel cambiamento (autorevolmente definito “liquido”3), è sempre più azzardato affidarsi ai paradigmi storici per operare distinzioni tra artigiano e industriale, tra commerciante e produttore, cooperatore e competitore, consumatore e cittadino, controllato e controllore ecc. Alla base di tali condizioni sta l’attivazione di alcuni elementi strutturali; tra questi, il provvedere ad un maggiore equilibrio nella distribuzione dei “seggi” all'interno dei Consigli tra i diversi  stakeholders dello sviluppo sostenibile, nonché l’avviare una effettiva responsabilizzazione degli stakeholders stessi nella pianificazione e implementazione dei nuovi modelli di sviluppo, cosicché diventino oggetto di condivisione tra le parti. Ciò implica che nei Consigli debbano trovare spazio anche rappresentanti apicali dei vari “organi tecnici” a diverso titolo coinvolti nelle attività di pianificazione, autorizzazione, monitoraggio delle attività d'impresa; organi che abbiano l'opportunità e il mandato di partecipare alla pianificazione dello sviluppo, non più attraverso una logica esclusiva di stampo burocratico e sanzionatorio, ma una logica preventiva ispirata al principio di competizione-cooperativa. Questa via, in virtù del nuovo paradigma culturale cui si ispira, appare come “miglior via” per snellire e mettere a sistema l'immane apparato burocratico sovente avverso al dialogo anche tra le sue diverse componenti. Apparato, al quale l'anima imprenditoriale del nostro Paese è oggi drammaticamente sottomessa. Il connotato di “miglior via” si identifica anche per la sua capacità di mettere al riparo il territorio nel quale opera da pericolose controcorrenti “postliberiste”, che potrebbero approfittare dell'attuale malcontento per favorire il diffondersi di un’economia che contrabbanda come sviluppo economico ogni nefandezza nei confronti della collettività e dell'ambiente. È auspicabile che, in un futuro non troppo lontano, un simile agire non possa più esistere. Anche in ordine alle risorse necessarie al funzionamento delle Camere dello sviluppo sostenibile, è possibile individuare alcuni elementi strutturali da declinare all’occorrenza in una proposta di dettaglio.
Anzitutto, la gratuità (o la quasi gratuità) delle cariche: prima ancora che una “prestazione”, la partecipazione agli organi delle Camere dello sviluppo sostenibile dovrebbe essere un impegno civile assunto dalle organizzazioni pubbliche e private direttamente o indirettamente preposte. In secondo luogo, il diritto annuale pagato dalle imprese iscritte al Registro potrebbe essere di anno in anno quantificato dall'Organo collegiale, in relazione ai progetti e alle iniziative circa le quali i diversi stakeholders abbiano raggiunto un consenso, tenendo conto di priorità, urgenze di intervento ecc. Non solo; visto che gli impatti degli interventi pianificati non riguarderebbero più gli interessi delle sole imprese, ma quelli dello sviluppo socioeconomico del territorio nella sua complessità e interezza, le risorse pubbliche che ciascun ente o istituzione già destina allo sviluppo potrebbero essere interamente convogliate alle Camere per lo sviluppo sostenibile. Tale accorpamento di risorse potrebbe in realtà andare di pari passo con una riunificazione delle competenze relative allo sviluppo, ora suddivise tra diverse istituzioni, all'interno dei nuovi enti camerali, configurando così una riforma della PA caratterizzata da una vision sistemica dello “svilupo” in funzione della quale più apparati dello Stato verrebbero ad essere riconfigurati in modo trasversale. In tal modo, si otterrebbe un risultato plurimo: ridurre l'imposizione per le imprese; coinvolgere in termini sostanziali i diversi attori; massimizzare l'efficacia degli interventi, così da evitare le attuali dispersioni e da costituire una massa di risorse concentrate in modo coerente su politiche unitariamente condivise.
Venendo alle Risorse Umane e strumentali necessarie al funzionamento delle Camere dello sviluppo sostenibile, è arduo pensare che il sistema delle Camere di Commercio possegga l’intero ventaglio delle competenze da trasferire; tuttavia non è semplicistico ritenere che le Camere di Commercio, nel loro complesso - quindi nel comprendere anche aziende speciali, unioni, società del sistema (oltre 12.000 dipendenti) - possano contare su un notevole patrimonio professionale, che in larga parte ha già maturato la capacità di relazionarsi con gli attori del sistema economico, di confrontarsi e di cimentarsi nella ricerca di soluzioni innovative, pur nell’agire all'interno di un quadro – lo si è detto – ancora non sufficientemente rappresentativo delle diverse istanze. Relativamente al piano tecnologico, il Registro delle imprese, che costituisce di per sé un formidabile strumento per la trasparenza, può già vantare una gestione moderna, efficiente, grazie al lavoro di professionalità consolidate che sarebbe antieconomico (oltre che generativo di conflitto) trasferire altrove.
In questo senso, le Camere per lo sviluppo sostenibile, potrebbero mostrarsi un'indubbia e proficua opportunità per riconvertire gran parte delle risorse camerali al servizio di un'Istituzione in sintonia con le esigenze del tempo, capillarmente dislocata, abilitata a offrire vantaggi all'intero Sistema Paese.
Infine, a garanzia di trasparenza e di volontà di sottoporsi al giudizio del controllo pubblico, starebbe l'obbligo di un bilancio annuale di sostenibilità, contenente la rendicontazione (in forma da tutti intellegibile) dei risultati prodotti attraverso le risorse impiegate nei progetti e nelle iniziative, nonché l'analisi e gli obiettivi predisposti per l'esercizio successivo.
Dunque il sistema delle Camere dello sviluppo sostenibile potrebbe costituire il luogo dove si rendono visibili le strategie democraticamente orientate e messe in atto per affrontare alcune delle sfide che i nuovi orientamenti economici e sociali, nel loro essere “fluidi”, impongono. Tenendo presente, in proposito, che la rete - centro di interesse e di interessi mondiali - costituisce un modello che non configura semplicemente una struttura, ossia un modo di posizionarsi dei diversi interlocutori, ma fa sì che la struttura si organizzi e si riorganizzi in base a un’intensa attività relazionale che, in quanto tale, presenta notevoli dimensioni di imprevedibilità, asistematicità, aleatorietà.
La svolta storica in corso impone il superamento di frammentazioni e di rigidità che si sono cristallizzate nel tempo sino a ossidarsi in qualcosa di molto simile a un “non sistema”, a una struttura inabile a individuare le direzioni di sviluppo alle quali sarebbe preposta, quindi di entrare in dialogo con esse. Il rischio concreto risiede nell’incapacità di trovare quei percorsi altri, che evitando vantaggiosamente il conflitto, si pongono come alternativi a pericolose logiche di contrapposizione, le stesse che muovono molti degli attuali sistemi di rappresentanza nei quali, di volta in volta, trovano spazio singoli attori che intendono arrogarsi il compito di individuare i compromessi, le sintesi e le soluzioni in nome di tutti … una deriva, forse già in atto, da evitare assolutamente.

 
Mirees

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